lunedì 19 luglio 2010

Sviluppo sostenibile in Europa e in Italia. Gli aiuti pubblici allo sviluppo

L'insostenibilità delle politiche Europee ed Italiane

La crisi economica una buona occasione per invertire la tendenza
A quattro anni dall'istituzione della strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile, è arrivata l’ora  della  riflessione sulla sua evoluzione futura. Essa è stata fondamentale per la definizione delle strategie a livello nazionale e regionale. Attualmente, quasi tutti gli Stati membri dell'UE hanno definito strategie nazionali di sviluppo sostenibile basandosi sulle raccomandazioni internazionali in materia di best practises.
I coordinatori delle strategie nazionali di sviluppo sostenibile fungono da collegamento tra la strategia dell'UE e le strategie nazionali. La rete europea per lo sviluppo sostenibile (ESDN) facilita gli scambi di buone pratiche e di esperienze con gli Stati membri.
La strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile è una strategia a lungo termine che permette di fornire orientamenti e di riferire in merito ai grandi sviluppi, favorendo al tempo stesso una riflessione prospettiva sulla sostenibilità, ma che richiede anche un'azione politica a breve termine, tendendo ben presente che più che  cercare di ottenere un equilibrio stabile, lo sviluppo sostenibile si propone come concetto dinamico, riconoscendo che i cambiamenti sono parte imprescindibile della società.

L'attuale crisi economica e finanziaria ha dimostrato che la sostenibilità è un fattore fondamentale anche per i nostri sistemi finanziari e per l'intera economia. Essa colpisce tutti i settori economici, le famiglie, le imprese e l'occupazione. La situazione sui mercati occupazionali dell'UE continua a peggiorare, la disoccupazione è in aumento, le offerte di lavoro sono in diminuzione e le imprese continuano ad annunciare forti tagli occupazionali in un gran numero di settori. L’incertezza continua ad accorciare i tempi.
Partiamo dal Rapporto 2009 sullo Stato di Avanzamento della Strategia Europea di Sviluppo Sostenibile, che riconosce, 11 indicatori principali.
Essi sono stati scelti per misurare, nel complesso, i progressi compiuti dall’UE e dai singoli paesi membri in termini di sviluppo sostenibile, in relazione agli obiettivi generali e specifici definiti nella Strategia di Sviluppo Sostenibile dell’UE. In particolare, una valutazione dei progressi compiuti a partire dal 2000 evidenzia un quadro piuttosto contrastante.
La situazione è quella sintetizzata dalla tabella che segue, dove l’informazione relativa all’evoluzione italiana è frutto di uno studio personale dei dati Eurostat.
La situazione italiana è nella maggior parte dei casi peggiore rispetto all’Unione Europea nel suo complesso. Il buon paese sta nelle prime posizioni se guardiamo alla speranza di vita a 65 anni, mentre siamo il peggior paese dell’Unione se guardiamo al PIL procapite. Un indicatore sul quale riflettere e che in questo ambito si vuole approfondire è la politica dell’UE in materia di aiuto pubblico allo sviluppo.
Si tratta si una delle più sfavorevoli sia per l’Europa che per l’Italia, poiché l’obiettivo intermedio dello 0,56% fissato per il 2010, in termini di rapporto tra aiuti allo sviluppo e PIL è ben lontano, eppure raggiungibile, se pensiamo all’1,12 della Svezia. Riportiamo un grafico, nel 2009, dei paesi dell’Unione Europea.  A seguire la serie storica italiana e dell’UE. Da quest’ultimo grafico notiamo tra l’altro una tendenza alla diminuzione dal 2005 nel caso italiano; tendenza opposta a quella dell’Unione Europea.

Negli ultimi anni l'UE ha dimostrato il suo impegno inequivocabile a favore dello sviluppo
sostenibile ed è riuscita a integrare questa dimensione di sostenibilità in molte delle sue
politiche, ma L’Europa ha bisogno di un new deal per un’economia sostenibile, come afferma Pierre Jonckheer. Secondo l’economista belga, un Unione sostenibile ha tre aspetti fondamentali da cui partire, aspetti che lo rendono diverso da un mero piano d’investimento:
Prima di tutto gli strumenti normativi e fiscali devono agevolare un cambiamento di direzione. Devono far sì che alcune attività diminuiscano e altre crescano.
Il secondo punto riguarda la formazione, l’occupazione e le condizioni di pagamento.
Il terzo punto di analisi riguarda il debito pubblico e il finanziamento del new deal verde.

Alla luce di queste considerazioni possiamo osservare la situazione in Italia. La crisi economica delegittima qui, come altrove, l’attuale organizzazione dei mercati. C’è un forte conflitto da risolvere nelle finanze pubbliche: la socializzazione delle perdite, vale a dire l’aumento del debito pubblico derivante dalla scelta di salvare il sistema bancario annullano anni di sforzi. Questo offre però un clima favorevole all’introduzione di politiche pubbliche mirate a orientare la spesa dei consumatori e gli investimenti e accelera il processo di adattamento dell’industria ai bisogni di un’economia sostenibile. Un’occasione da non perdere dunque.
La recente manovra correttiva del Governo non sembra però indirizzare verso una programmazione di riconversione industriale. Non c’è una chiara indicazione sull'obiettivo di un nuovo modello di sviluppo sostenibile. La manovra ad esempio non ha rifinanziato gli sgravi fiscali per il risparmio energetico, inoltre non c’è più l’obbligo per lo Stato di ritirare i certificati verdi in eccesso alle aziende che producono energia da fonti rinnovabili, così da farne crollare il prezzo e quindi scoraggiare nuovi investimenti. Investimenti che si dirigeranno altrove.
Andiamo al secondo punto: Stiamo investendo nella società della conoscenza? Stiamo investendo nella ricerca, nell’istruzione e in corsi di formazione professionale? Ci sono garanzie per i percorsi di carriera dei lavoratori, soprattutto quando ci sono posti di lavoro persi a causa della ristrutturazione industriale? Il governo sembra scegliere di sopprimere alcuni importanti enti di ricerca, di colpire i salari dei lavoratori attraverso il blocco della contrattazione collettiva e degli scatti di anzianità, di licenziare molti precari. E sono (erano) soprattutto i precari che, nella ricerca, davano il maggiore impulso verso una auspicabile variazione di tendenza. Aggiungiamo che la scuola pubblica soffre e non è ancora chiaro se il recupero del 30% dei tagli, venga finalizzato effettivamente al superamento del blocco delle progressioni per anzianità o invece la destinazione deve essere definita successivamente.
Infine, il finanziamento del new deal verde vorrebbe mobilitare il risparmio privato per finanziare progetti economici sostenibili. In Italia abbiamo un buon livello del risparmio privato (il che spiega la relativa stabilità del sistema finanziario) e questa sarebbe un’ottima occasione per orientarlo. I segnali, come detto, sono però scoraggianti.
Un’ultima considerazione: il “rischio di povertà”  - altro indicatore di sostenibilità, segnala l’Italia in peggioramento rispetto a 10 anni fa. Siamo più o meno al livello della Grecia, ma questo significa che gli indicatori rimarranno in rosso finché i prodotti sostenibili (chiamiamoli così) saranno inaccessibili a una cospicua parte della popolazione. La scelta di favorire alcune produzioni in luogo di altre non basta. La creazione di occupazione sarà limitata dal livello inadeguato di “potere di acquisto sostenibile” delle famiglie a basso reddito. Una crisi è sempre una buona occasione per ridistribuire il reddito.

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